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i tecnici

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Antagonismo e rapporti di produzione nella questione dei tecnici    (M)

Alla luce delle trasformazioni avvenute in questi anni nel processo produttivo può essere opportuno definire i tecnici oggi come quei lavoratori che si collocano alla frontiera del processo di produzione di merci: dove per frontiera intendiamo l'insieme di tutte le funzioni che riguardano la complessità della produzione; sia in quanto momenti vitali per la dinamica produttiva - dalla ricerca da un lato all'interfaccia azienda/mercato dall'altro - sia in quanto funzioni ad alta complessità gestionale o produttiva. 
Questa definizione è utile da tre punti di vista: perché sottolinea la complessità dell'erogazione effettiva del lavoro e non solo della composizione tecnica della forza-lavoro; perché include tanto i tecnici in senso stretto quanto i cosiddetti quadri; e infine perché si misura con i processi centrali di trasformazione oggettiva e soggettiva che si sono avuti in questi tempi, centrati peculiarmente sulla frontiera aziendale o in generale produttiva.' 
Su questa base vogliamo riprendere tre temi: il primo la possibilità di un sindacato dei tecnici e la sua composizione come elemento secondario: c'è stato ed esiste tuttora un largo settore del movimento operaio che ritiene possibile e positiva un'iniziativa di questo tipo; e può essere un elemento a favore di un ripensamento attuale del problema il passaggio che è avvenuto in questi anni dalla marcia dei quarantamila quadri di Torino alla marcia dei quarantamila insegnanti di Roma: fenomeni apparentemente segnati da una grande distanza, da alcuni addirittura letti sotto un unico segno ‘corporativo’, ma che a nostro parere segnano, sia negli elementi comuni sia in quelli di diversità, una profonda trasformazione del tessuto sociale per la forza-lavoro e forniscono, nelle loro contraddizioni, una base possibile per affrontare in modo coerente la questione dei tecnici sul piano anche organizzativo. 
Partiamo da un elemento provocatorio: un sindacato tecnici che comprenda al suo ‘interno’ anche la scuola. Un'obiezione non banale, alla luce della definizione data inizialmente, è l'appartenenza dei lavoratori della scuola al pubblico impiego, con condizioni particolari che fanno sì che sia sul piano del comportamento, sia come posizione sul lavoro, sia in termini di coscienza-bisogni, e soprattutto in riferimento al mercato/luogo produttivo siano fuori dalle logiche tipiche di un sindacato dei tecnici. 
Tuttavia il problema che si pone è quello generale della forza-lavoro ad alta composizione tecnica - come gli insegnanti in media sono - e del ruolo all'interno del processo produttivo più generale; e nella scuola un processo di riferimento con le forze produttive c'è stato, forzato è vero più soggettivamente - nelle sperimentazioni ufficiali ed ufficiose soprattutto - che non indotto dalle necessità produttive; con anche termini di produttività che danno - per quanto imprecise siano queste stime un prodotto nettamente più basso in termine di allievi formati per insegante al confronto con altri paesi, ma nettamente più alto in termini di grado di formazione e prooduttività degli allievi stessi. 
E qui si apre anche una parentesi in termini di rapporto complessità della forza-lavoro/bisogni che avrà bisogno di essere riempita. 
Ricordiamo che l'opposizione al sindacato dei tecnici veniva, all'interno del movimento operaio, da quelle forze che rappresentavano la classe operaia tradizionale a basso livello di complessità; dopo la marcia dei quarantamila quadri di Torino il sindacato ha cercato di correre ai ripari rincorrendo il movimento sul piano della dinamica delle differenziazioni salariali, con un'azione tutto sommato senza esito e che non affrontava il problema alla radice, senza tradurlo in una logica politica e di strategia di ripensamento generale della composizione di classe. Questo è il tipo di necessità, anche organizzativa, che oggi viene riconosciuta; si tratta di vederne il contenuto preciso. 
Si tratta innanzitutto di vedere gli elementi legati alle condizioni materiali: ricordiamo come la marcia dei quarantamila di Torino (e per gli insegnanti discorsi analoghi sono stati fatti) era anche motivata da un differenziale salariale negativo non soIa in termini relativi, ma assoluti; non solo e non tanto cioè rispetto all'operaio medio, quanto in assoluto: una perdita del 28% in 5 anni, anche accentuata dal confronto ulteriore coi lavoratori stranieri di pari livello.' 
Gli altri termini materiali della eondizione del tecnico sono quelli più aperti in quanto più legati a processi e trasformazioni, a bisogni e comportamenti che non a termini statici. 
Pensiamo all'introduzione delle tecnologie informatiche negli uffici: questa provoca un aumento della capacità di pianificazione dell'attività da parte dei livelli gerarchici superiori, una concentrazione di capacità ed attività di gestione della complessità, un superiore livello di integrazione funzionale. e una liberazione da tempo di lavoro ripetitiva. Ma questi fattori sono aperti a due possibili strade: eoncentrazione dell'attività decisionale ed espulsione di lavoratori. oppure inlerazione continua tra lavoro tecnico e macchinario con la creazione di nuove funzioni e rapporti allargali di interazione-cooperazione; la scella Ira queste due strade dipende dalle caratteristiche dell'ufficio e del suo conlesto, ma anche dalla forma di organizzazione dei lavoratori e dalla loro consapevolezza. 
E questo è solo un esempio paradigmatico della problematica delle nuove tecnologie informatiche anche nella fabbrica (si pensi ancora ai soli problemi dell'eliminazione delle scorte con l'adattamento in tempo reale al mercato tramite calcolatori ed alle conseguenze che questo comporta - e può comportare. ancora con biforcazioni - sull'organizzazione del lavoro). 
Dal punto di vista di questi problemi e del rapporto generale bisogni-organizzazione del lavoro/comportamenti il discorso sulle forme organizzative appropriate rimanda ad un dibattito ormai classico. che passa anche (v. Veblen, ed anche Sohn-Rethel) attraverso il concetto di progresso e del ruolo progressivo. dei tecnici nella fabbrica e nella società. 
I tecnici oggi sono i depositari. o meglio quelli che utilizzano direttamente, rinforzano e gestiscono, e traducono nel processo produttivo e quindi nel processo di valorizzazione il patrimonio tecnico-scientifico accumulato; e quindi c'è una composizione organica del capitale umano che trapassa direttamente nel processo produttivo e che appare però immanente al lavoro da loro erogato; sia che siano dipendenti sia che siano autonomi. 
In questo senso hanno uno degli elementi che caratterizzano il ‘nuovo soggetto’ all'interno di una modificazione complessiva della composizione di classe che vede ridursi grandemente la classe operaia tradizionale sia delle grandi sia delle piccole fabbriche, che vede sparire gran parte del lavoro indipendente tradizionale nell'agricoltura e trasformarsi profondamente quello del terziario (con un aumento del lavoro indipendente in assoluto tutto legato alle nuove professioni e alle nuove attività terziarie e quaternarie e in parte minore ancora industriali/artigianali). 
In questo quadro i tecnici - ma non in quanto elemento isolato- sono uno dei pochi soggetti ad avere un rapporto collettivo con la tecnica quindi col dominio dell'uomo sulla natura e con la riproduzione sociale complessiva; ed in questa fase sono gli unici che riescono a comprendere se non a controllare una parte rilevante del processo produttivo, o almeno settori significativi: includendo nei tecnici, così come nella definizione iniziale, anche un notevole numero di .quadri -. anche se i tecnici permangono determinati da una caratterizzazione funzionale e i quadri da una gerarchica. 
Però quello che è importante in questi ultimi tempi e che accomuna entrambe sono le trasformazioni profonde del tessuto produttivo prima accennate, attraverso le ristrutturazioni e la forma specifica che queste assumono nella fase a diretto contatto col mercato: entrambe poste alla frontiera dove avvengono le trasformazioni maggiori e più rapide e dove c'è la necessità di ampliare sempre di più le proprie conoscenze: 
è forse la contraddizione tra questo ampliamento - diretto e non solo potenziale - della sfera delle proprie conoscenze applicate e il suo riconoscimento in termini salariali e normativi e di potere da parte dell'azienda che rende possibile oggi concretamente l'emergere di un sindacato come momento vitale. 
Il secondo tema è relativo ad un allargamento di questo problema al di là della sfera immediatamente produttiva: non a caso abbiamo anche citato i momenti di lavoro autonomo, non a caso i tecnici sono i più sensibili alle tematiche di controllo ambientale e qualità della vita emerse negli ultimi anni: anche perché nel passaggio - continuo ma accelerato in questi decenni - dall'appropriazione gratuita del lavoro scientifico alla sua immissione diretta nel processo produttivo sono rimasti larghi settori intermedi. non ancora sussunti nella valorizzazione diretta o legati a funzioni sussidiarie a questa. 
Si entra cioè nella sfera di quelli che vengono chiamati bisogni ma sono in realtà problemi di potere e momenti di contraddizione materiale nei rapporti di produzione. 
Lo vediamo nelle dinamiche degli ultimi anni, con la carriera fatta attraverso la mobilità orizzontale (passaggi accelerati da un posto di lavoro all'altro) e per fuoriuscite parziali o totali dal lavoro dipendente verso attività autonome. 
Possiamo accennare allora un'ipotesi: 
che cioè larga parte delle rivendicazioni di tecnici e quadri - comprese le insoddisfazioni che hanno portato alla manifestazione di Torino (e per altro verso, insistiamo, a quella di Roma) - non siano tanto esigenze di differenziazione, e come tali appiattibili su di una semplice dinamica salariale differenziale, ma siano un sottoinsieme, ed anche una riduzione forzosa, di un insieme più vasto e radicale di elementi inerenti al potere, all'organizzione del lavoro, all'appropriazione o in ogni caso all'uso sociale del prodotto e del plusvalore che non hanno trovato altro spazio di espressione. 
(Pensiamo anche alla radicalità delle prime espressioni sindacali dei tecnici negli anni 60/70, poi talvolta anche degenerate in estremismi fuorviati). 
D'altro canto le dinamiche di mobilità prima citate hanno spesso nel medio termine esiti illusori: pensiamo come esemplare alla grande migrazione che negli USA ha portato dalla NASA a Silicon Valley e però alla crisi attuale di questa: ristrutturazione, concentrazione, disoccupazione sono i dati attuali di quella che era, anche grazie al capitale di rischio, la mecca della libera imprenditorialità individuale); 
o pensiamo alla illusorietà che, al di là di piccole differenze salariali, porta spesso la mobilità orizzontale. 
Un problema è certamente la dinamica individualistica dei tecnici in questi ultimi anni, che è connessa ad una abitudine e a un atteggiamento culturale diffuso; ma è anche legata ad una storia sindacale incapace di trovare sbocchi e spesso mortificante non sul mero piano salariale, ma soprattutto su quello delle logiche di potere e di individuazione degli elementi di alternativa alle forme concrete di organizzazione del lavoro e di uso sociale della tecnica. 
Di qui un atteggiamento di sfiducia che è anche alla base delle dinamiche individualistiche. 
È in questo senso che la marcia dei quarantamila insegnanti a Roma è un segno positivo, proprio perché anche nella scuola abbiamo avuto lo stesso tipo di processo di crescente sfiducia verso il sindacato (i Cobas, almeno a Milano, sono tutti ex quadri attivi della CGIL e CISL, che hanno gestito lotte e iniziative negli ultimi 15 anni); eppure, per quanto fuori e contro il sindacato, si è avuta una volontà di lotta sociale e collettiva (di cui gli elementi rivendicativi erano largamente il presupposto necessario ma certamente mai sufficiente per l'aggregazione); e questo fenomeno non è ristretto al solo settore scolastico, con tutte le sue peculiarità, ma estendibile a larghi settori di forza-lavoro ad alta qualificazione. 
Appare auspicabile che un dibattito che si sviluppi su queste tematiche abbia come riferimento delle forme organizzative non rigide: più probabilmente dei settori tecnici all'interno delle federazioni - quindi momenti verticali - collegati orizzontalmente non solo a livello centrale ma in forme ricche; anche per la qualità teorica e politica del dibattito e delle strategie che dovranno affrontare. I due richiami polari in questa direzione sono la tradizione anarcosindacalista dei lavori qualificati ed artigiani da un lato, e i sindacati pulviscolari della tradizione inglese dall'altro: entrambi non modelli ma rispecchiamento di esigenze concrete. 
Il terzo tema, e lo enunciamo solamente, è quello che abbiamo chiamato progresso: e certamente un dibattito sulla questione dei tecnici non può non affrontarlo, non può ignorare il nodo delle forze produttive oggi e della loro maturità, non può non confrontarsi con le tematiche sulla qualità della vita e sullo sviluppo sociale in senso lato. 
*Abbiamo evidenziato in altra sede (v. Mutamenti strutturali e valutazione economica, Milano 1986) come le nuove tecnologie portino a processi di rapida trasformazione dell'organizzazione del lavoro che investono in primo luogo settori e funzioni particolari e si propagano in un secondo momento all'interno degli altri settori aziendali date alcune condizioni necessarie di «dinamicità»: chiamiamo frontiera questo insieme (anche in analogia col termine che Braudel ne ‘l tempi del mondo’ utilizza per indicare quelle zone dell'economia mondiale che vivono il tempo generale dell'economia e della vita sociale, in quanto distinte dalle zone invece ancora al passo delle vecchie abitudini. culture e strutture locali). 
Il comportamento dei quadri all'interno dell'organizzazione del lavoro e dei movimenti di lotta, il loro antioperaismo deriva certamente dal ruolo essenzialmente gerarchico dei quadri nell'organizzazione aziendale, ma anche da una cultura e da una tradizione che - ricollegandosi da un lato alle «aristocrazie operaie» e dall'altro all'uso sindacale e politico dei capi da parte padronale (non è stato certo il primo Taylor in questo senso) - legava i quadri alle politiche di controllo sulla forza-lavoro cercandone anche la collaborazione ideologica; 
vogliamo però nel contempo sottolineare da un lato la loro collocazione interna al lavoro produttivo; dall'altro la fase di profonda trasformazione di ruolo e funzioni che stanno subendo e che anche la marcia dei quarantamila a Torino esprimeva almeno in parte: canalizzata però allora in una sola direzione, ma anche per la mancanza di altri sbocchi e alternative. 
Non a caso la mobilità maggiore in questo senso si ha nel caso informatico, con una permanenza media nel posto di lavoro di 3 anni (a parte il caso IBM) ed una continua fuoriuscita e gemmazione di nuove attività indipendenti dal corpo della azienda madre; salvo una ripetizione del processo una volta raggiunta la maturità: non è soltanto una storia relativa alle dinamiche d'impresa e dell'innovazione, ma è strettamente dipendente dalle dinamiche di controllo e valorizzazione, od autovalorizzazione, del lavoro. D'altronde per il caso particolare italiano, il rapporto Hay sottolinea come ci sia un blocco della mobilità verticale e delle retribuzioni tra il quadro intermedio e il top manager, con un salto che genera una terra di nessuno da cui progressivamente tecnici e quadri fuoriescono. 
• (Anche per la scuola è possibile pensare ad un suo inserimento in questo quadro che non sia rigido né al limite ancorato in partenza al sindacato confederale; la ricostruzione del sindacato scuola, a partire anche dalle forze di movimento che chiameremo classiche, come i Cobas, può anche assumere la forma di un congresso di rifondazione di un sindacato unitario di categoria svincolato dalle grandi centrali (perlomeno sul piano formale di organizzazione); dove il processo di ridiscussione del ruolo dell'insegnante, anche come figura di tecnico così come prima definito, diventi uno degli assi del nuovo sindacalismo e del suo rapporto con gli altri settori di classe).

lunedì 5 novembre 2012

 
 

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