Il mio blog
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un po’ di storia
La rete Odessa
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La rete mondiale clandestina di fuga dei criminali nazisti O.D.E.S.S.A. e la “via dei monasteri”
Il 10 agosto 1944 in una riunione ultrasegreta si ritrovarono a Strasburgo un gruppo di rappresentanti delle grandi industrie tedesche, alti funzionari del Ministero della Guerra del Ministero degli Armamenti. Gli industriali, convinti che la guerra era ormai persa, presero in esame le misure atte a salvare il patrimonio tedesco.
Tre anni dopo dei membri delle SS organizzarono O.D.E.S.S.A. (Organisation der S.S. Angehörigen), una rete clandestina incaricata di portare gli ex nazisti criminali di guerra in Paesi amici dove gran parte dei fondi delle industrie tedesche e delle SS erano stati trasferiti.
A seguito delle decisioni prese a Strasburgo, gli industriali tedeschi trasferirono all’estero ingenti capitali, su conti bancari segreti e in imprese in Spagna, in Turchia e in America del Sud, particolarmente in Argentina.
I tesori nascosti delle SS
Le SS, a loro volta, avevano costituito un enorme tesoro sequestrando i beni di milioni di ebrei diretti ai campi di concentramento. Dollari, sterline,rubli, sloty, orologi d’oro, diamanti, collane di perle si erano accumulati nei depositi delle SS. I denti d’oro e le fedi erano state fuse in lingotti depositati nelle casse della Reichbank a credito delle SS. A questo sordido recupero parteciparono delle imprese delle SS, che, d’altra parte, trassero grandi profitti dalle risorse inesauribili di manodopera dei prigionieri dei lager. Questi lavoratori schiavi erano affittati, da 4 ad 8 marchi per uomo e per giorno, alle grandi aziende, come la Siemens, la I.G. Farben, la Krupp. Non gli importava che il lavoro li uccideva in massa. Questo modo di lenta annichilazione di massa era previsto dal sistema concentrazionario, così come lo sterminio immediato. I prigionieri che morivano venivano subito rimpiazzati dai nuovi arrivi.
Al momento della sconfitta tedesca il caos fu totale su tutto il territorio; strade,città e villaggi erano invasi dai resti della Wehrmacht, dai vecchi prigionieri di guerra usciti dai campi, dai prigionieri politici sfuggiti alle SS durante i trasferimenti, dai lavoratori stranieri volontari e schiavi, dalla popolazione tedesca che aveva abbandonato le città bombardate e i campi di battaglia, ad ovest, o in fuga davanti all’avanzata delle truppe sovietiche. Tutto era sottosopra e la maggior parte dei responsabili nazisti, di SS e di agenti della Gestapo aevano buon gioco per nascondersi nella massa.
Fu relativamente facile a coloro che temevano un giusto castigo, utilizzare un falso nome per nascondersi presso connazionali o scomparire in uno dei numerosi campi per profughi (200 campi in Germania e in Austria) che gli alleati avevano dovuto aprire per alloggiare e nutrire una popolazione sradicata per le tragiche circostanze della guerra. Da questi campi era abbastanza facile fuggire inserendosi tra i gruppi di lavoratori che venivano impegnati all’eterno nell’opera di demolizione e di sterramento delle città devastate dai bombardamenti aerei.
Fu così che Adolf Eichmann, zelante esecutore della “soluzione finale” del problema ebreo, dapprima rifugiatosi in uno di questi campo, evase alla fine del 1945 nel timore che la sua identità venisse scoperta. Così pure il dottor Josef Mengele, il famigerato medico capo di Auschwitz, dopo cinque anni trascorsi sotto falso nome nella sua città natale, in zona di occupazione americana, fuggìprima che si iniziasse a menzionare il suo nome in occasione di alcuni processi ai criminali nazisti.
La rete mondiale clandestina di fuga dei criminali nazisti
Due anni dopo la fine della guerra, nel 1947, ex membri delle SS crearono O.D.E.S.S.A., rete mondiale clandestina di fuga, organizzata meticolosamente con un gran numero di corrispondenti, di collegamenti, di guide sia in Germania che in Austria. Due itinerari era usati principalmente per la fuga: da Brema a Roma e da Brema a Genova, passando per la Baviera, l’Austria, dove da Innsbruck raggiugevano l’Italia passando per il Brennero.
Per un certo periodo, prima che gli Alleati se ne accorgessero, utilizzarono i camion americani, con autisti tedeschi, che distribuivano i giornali Stars and Stripes alle truppe.
L’organizzazione O.D.E.S.S.A. teneva rapporti con le ambasciate di Spagna, della Siria e dei paesi dell’America del Sud dislocate in alcune capitali europee, che non ponevano alcuna difficoltà a rilasciare visti ai fuggitivi.
La “via dei monasteri” verso Genova e Roma
Tra l’Austria e l’Italia, O.D.E.S.S.A., aveva organizzato un itinerario speciale sfruttando la carità cristiana di monaci francescani che non si preoccupavano dell’identità delle persone alloggiate in completa sicurezza nelle celle dei loro conventi; questi frati facilitarono enormemente la fuga di un gran numero di criminali di guerra che percorrevano questa “via dei monasteri” verso Roma e verso Genova. A roma alcuni nazisti beneficiarono dell’aiuto effocace di preti slovacchi in un collegio religioso, finanziato da un vecchio amico del capo ustascia Ante Pavelich.
Questa “via dei monasteri” fu una delle realizzazioni più efficaci di O.D.E.S.S.A.
È per questo percorso che Mengele, Eichmann e Bormann furono instradati in Italia, poi in Spagna per raggiungere poi l’Argentina.
All’estero O.D.E.S.S.A. disponeva di conti bancari segreti. Arrivati nei paesi che gli accoglievano, i fuggitivi nazisti non avevano alcuna difficoltà ad installarsi. I nazisti di alto rango si ritrovavano dei fondi che erano stati trasferiti tanto che potevano acquistare vasti appezzamenti di terreni per costruire spendide dimore. Gli altri trovavano lavoro nelle società create all’estero dalle industrie del Reich con fondi tedeschi. Nei diversi paesi, i criminali di guerra nazisti ottennero la loro naturalizzazione, usando delle false identità, potendo vivere in perfetta sicurezza.
Famiglie di criminali di guerra in fuga presentarono ai tribunali tedeschi e austriaci domande di proclamazione di morte dei loro congiunti, col pretesto di ottenere pensioni o per le mogli autorizzazioni a risposarsi. Le domande furono accolte quasi automaticamente e senza controlli. Ufficializzate le loro morti, i nomi di questi colpevoli sparirono dalle liste di ricerca. Vivendo sotto falso nome, poterono risposarsi con le loro proprie mogli “vedove”.
da Wikipedia
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Una meticolosa e documentata ricostruzione dello storico Uki Goñi
di Giovanni De Luna
Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet era un medico delle SS che sosteneva di aver scoperto una «cura» per l’omosessualità; nel 1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli ricerche la popolazione del «triangolo rosa», gli omosessuali internati a Buchenwald. I malcapitati furono castrati e gli fu impiantato un «glande sessuale artificiale», un tubo metallico che rilasciava testosterone nell’inguine. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald raccontavano barzellette raccapriccianti su quel tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo sadico; inserito nella lista dei criminali di guerra, alla fine del conflitto riuscì a scappare sano e salvo in Argentina. E come lui migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la cavarono grazie a una
rete di complicità mostruosamente efficiente e all’aperta connivenza del governo di Juan Domingo Perón.
Un romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth, raccontava di un gruppo di membri delle SS che dopo la sconfitta si erano raccolti in un’organizzazione segreta (Odessa, acronimo di Organisation der Hemallgen SS-Angehorigen) che aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni dalle forche degli Alleati e creare un Quarto Reich che completasse l’opera di Hitler. Per quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo inquietante alla realtà. Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. Così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all’abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, € 24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento.
Diciamolo subito. Se l’Argentina di Perón era la «terra promessa», l’asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell’intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all’insegna dell’antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l’anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.
Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l’incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l’ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell’«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest’ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell’Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère.
I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l’ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all’intervento di Montini per esprimere all’ambasciatore argentino presso la Santa Sede l’interesse di Pio XII all’emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica».
Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell’esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell’illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell’Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un’alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell’Asse ma furono l’humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa».
La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n’erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico Costantino Di Sante sta facendo luce su una delle pagine più oscure di quel periodo. Si trattava di criminali macchiatisi di delitti che avevano suscitato orrore perfino nei loro alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa, bastonature a morte, decapitazioni, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%. Alla fine della guerra circa 700 mila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma nell’elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari. Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che coniugava le nozioni di «purificazione» religiosa e «igiene razziale» con un appello affinché la Croazia «fosse ripulita da elementi estranei».
Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l’Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino.
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Giovedì, 19 gennaio 2006
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Nella primavera del 1946 un ufficiale americano mostrò a Simon Wiesenthal una busta sequestrata ad un colonnello delle SS, detenuto nel campo di prigionia di Ebensee, in Austria.
Tra i documenti contenuti nella busta era presente il verbale di un colloquio che si era tenuto nell'agosto 1944 all'Hotel Maison Rouge di Strasburgo. Riuniti in consesso alla Maison figuravano rilevanti personalità legate al mondo dell'industria e della finanza: il re del carbone Emil Kirdof, il magnate dell'acciaio Fritz Thyssen, Georg von Schnitzler della IG-Farben, Gustav Krupp, il banchiere di Colonia Kurt von Schroeder, oltre ai portavoce della VW Werke, della Büssing-NAG, della Siemens, della Röchling.
Erano inoltre presenti i delegati di Martin Bormann, di Albert Speer e di Wilhelm Canaris: settantasette uomini rappresentanti gran parte del potere politico-economico della Germania nazionalsocialista hanno avviato una riunione che si protrarrà per oltre quarantotto ore.
In conclusione fu approvata la proposta avanzata dal delegato personale di Bormann: gli imprenditori avrebbero finanziato la fuga dei gerarchi, i quali avrebbero custodito e gestito tutti i capitali trasferiti all'estero. Una soluzione che avrebbe garantito la salvezza ai gerarchi nazisti, oltre alla possibilità della rifondazione di un Terzo Reich in luogo e con modalità da definirsi, e agli imprenditori l'opportunità di conservare i loro beni e metterli in salvo dalla confisca che sicuramente sarebbe seguita alla sconfitta militare.[14]
A seguito dell'incontro di Strasburgo cospicue somme di denaro vennero subito trasferite in banche di Paesi neutrali: Svizzera, Spagna, Turchia e soprattutto Argentina e Paraguay. Con i capitali tedeschi vennero create di lì a poco numerose società commerciali: secondo un rapporto del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti che risale al 1946 furono in complesso 750 le imprese finanziate dagli industriali nazisti; 112 in Spagna, 58 in Portogallo, 35 in Turchia, 214 in Svizzera, 98 in Argentina e 233 in varie altre nazioni.
Grazie all'esperienza maturata nel corso della guerra da ufficiali dell'RSHA, in un lasso di tempo relativamente breve l'O.D.E.SS.A. riuscì a mettere in piedi inoltre un sistema di corrieri, che riuscirono a far uscire clandestinamente dalla Germania gli uomini delle SS.
Alcune persone riuscirono persino a procurarsi un lavoro come autisti dei camion dell'esercito americano sull'autostrada Monaco-Salisburgo, nascondendo i fuggitivi sul retro dei veicoli per farli passare oltre il confine austriaco. Ogni 50 km era stanziata una Anlaufstelle ("Centro di ricezione") di O.D.E.SS.A., gestito da non più di cinque persone, che erano a conoscenza soltanto delle due Anlaufstellen che precedevano e seguivano la propria lungo il percorso. Molti uomini delle SS terminavano il loro viaggio a Bregenz o a Lindau, due località sul lago di Costanza, da dove passavano in Svizzera e infine salivano su voli aerei civili diretti in Medio Oriente o in Sudamerica.
Ad aiutare i gerarchi in fuga, secondo Wiesenthal, sarebbero stati alcuni prelati della Chiesa cattolica e in particolare i francescani che nascondevano i fuggiaschi da un monastero all'altro. Wiesenthal ritiene che tale aiuto sia stato dato fraintendendo il concetto di carità cristiana[16].
Ricercati come Heinrich Müller, Capo della Gestapo e molti altri criminali di guerra probabilmente utilizzarono O.D.E.SS.A. per scomparire; altri nazisti come Adolf Eichmann, Josef Mengele, Erich Priebke, Klaus Barbie, Aribert Heim, trovarono rifugio in America Latina, essenzialmente in Paesi senza estradizione, e poterono essere smascherati e assicurati alla giustizia solo dopo molti anni.
Per citare un esempio, Eichmann, largamente responsabile della logistica della "soluzione finale", fu scoperto e rapito dal Mossad in Argentina per essere tradotto in Israele, giudicato e conseguentemente giustiziato per i suoi crimini. Erich Priebke invece fu ritrovato da un giornalista americano che lo intervistò; a seguito di questa intervista fu catturato, processato e condannato.
Uno dei principali organizzatori di O.D.E.SS.A. fu l'SS-Obersturmbannführer Franz Roestel, che aveva combattuto nella divisione "Frundsberg" delle Waffen-SS; mentre altri ritengono che l'SS-Obersturmbannführer Otto Skorzeny e l'SS-Sturmbannführer Alfred Naujocks siano stati attivi nell'organizzazione e in particolare Skorzeny fosse il direttore della struttura[17].
Uki Goñi, nel suo libro The Real Odessa: Smuggling the Nazis to Perón's Argentina[18] , suggerisce che il Vaticano abbia avuto un ruolo attivo nella copertura dei gerarchi nazisti in fuga. Analoga ricostruzione fanno Daniel Jonah Goldhagen,[19] e Michael Phayer[20].
da Wikipedia
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•Archivio > La Repubblica > 1996 > 06 > 08 > ' UNA NUOVA ODESSA AL SER...
'UNA NUOVA ODESSA AL SERVIZIO DEI NAZI'
ROMA - "Dossier Odessa": quando Frederick Forsyth lo scrisse, Simon Wiesenthal, nazi-hunter numero uno, volle dargli una mano. "Discutemmo ogni capitolo", ricorda Wiesenthal nella sua autobiografia. Così quando il libro fu tradotto in 17 lingue, si accreditò a livello planetario l' ipotesi della rete Odessa.
Un network di aiuti ai boia nazisti scappati dopo la fine della guerra. Una rete di complicità nei regimi militari di mezzo mondo, specie sudamericani. Ma anche una collaborazione del Vaticano e della Croce Rossa Internazionale. Quel che è certo, è che settemila nazisti riuscirono a scappare. Che ci fosse davvero una regia globale, è rimasto dubbio. E però molti cacciatori di nazisti non credono che Martin Bormann, fedelissimo di Hitler, sia morto a Berlino, ma che sia scappato in Argentina in sottomarino, portandosi una bella porzione del tesoro del regime, servita poi a finanziare l' operazione Odessa. Nell' ultimo romanzo del cileno Luis Sepulveda, "Un nome da torero", si narra della ricerca durata quasi mezzo secolo dell' ex gerarca fuggito in Patagonia col tesoro del Reich, naturalmente ben protetto... Cosa c' è di vero in "Odessa"? E' vero, per esempio, che l' ex presidente argentito Peron ricevette somme enormi per consentire l' ingresso nel suo paese dei boia del Reich? E' vero che molte spie naziste passarono in blocco ai servizi segreti americani ai tempi del maccartismo? E' noto che Klaus Barbie, il boia di Lione, diventò agente dei servizi boliviani e preparò il golpe dell' 80. Furono proprio gli americani a scaricarlo, facendolo estradare in Francia nell' 82. Per non parlare delle coperture di cui godette in Italia Kappler, per la sua fuga dal Celio dentro (nientemeno) una valigia. Shimon Samuels, inglese, è responsabile a Parigi dell' area latino-americana del Centro studi per l' Olocausto Simon Wiesenthal. Samuels è una autorità fra i cacciatori di nazisti. Fu lui a scoprire che Mengele, il medico responsabile della morte di 400 mila ebrei, aveva un passaporto italiano per sparire in Sud America.
Shimon Samuels, Karl Hass sostiene che esiste ancora la "rete" Odessa. Lei che ne pensa? "Penso che sia esistita e che esista. Anche se quella nata subito dopo la guerra è ben diversa dall' attuale". In che senso? "Cinquant' anni fa serviva solo per aiutare l' espatrio dei nazisti. Oggi è molto di più. Oggi Odessa può avere molti nomi, ma l' organizzazione resta. Esiste un network che si va configurando diversamente... e mira ad altri interessi". Interessi di che natura? "Per esempio, ci sono businessmen, uomini d' affari legati ai regimi anticomunisti. Soprattutto in Romania, Canada... e poi ci sono anche parecchi croati, ex ustascia, e molti austrialiani, e naturalmente sudamericani". Insomma, lei sostiene l' esistenza di una "Odessa 2"? "Sono convinto che questa nuova rete sia composta da gente che protegge i fuorusciti di destra e anche nazisti, ma intanto fa affari. E' gente giovane, è la seconda generazione di Odessa...Ci sono anche parecchi militari argentini fra loro. In generale, comunque, si tratta di persone con simpatie per l' estrema destra. Persone presenti anche in Italia". Anche in Italia lavora "Odessa"? "Sì, e come dappertutto si attiva quando c' è bisogno". Questa rete ha aiutato anche Priebke? "Priebke ha negato di avere avuto contatti con gruppi nazisti in Sud America. Ma è una bugia macroscopica e noi lo abbiamo dimostrato. Quei rapporti ci sono stati". Secondo lei, perché Karl Hass ha tentato la fuga? Pausa. Risatina acida. "Non so...Non mi stuperei comunque che avesse paura". Paura? "Lui sa tante cose su altri nazisti. Magari qualcuno preferirebbe il suo silenzio". Quali nazisti? "Non lo so. E' chiaro comunque che Hass ha potuto circolare liberamente in tutti questi anni. Perché?"
di MARINA GARBESI
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L’idea della fuga di Bormann, per quanto abbia attirato molta attenzione e abbia elementi di verosimiglianza (v. i libri di Manning e altri...) perlomeno in un punto é diventata poco credibile: la sopravvivenza dello stesso Bormann, resa improbabile dall’l’esame del DNA svolto nel 1998 sul teschio del ’45 a suo tempo analizzato solo sui denti. Anche se ipotesi alternative autorevoli sono state avanzate...(v. anche Wikipedia)
Rimane però in piedi l’ipotesi di una rete finanziaria globale ancora esistente e che abbia anche contribuito alla rinascita tedesca...ma non solo. V. la documentazione.
martedì 4 dicembre 2012